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Dietro questa idea c’è la Fish, che rafforza questo principio della “formazione” con quello, più pragmatico, della “separazione delle carriere”. Se sei insegnante di sstegno lo resti, insomm: non opensare che domani vai insegnare storia, geografia o aritmetica. Tanto vale, quindi, investire in formazione, diventare sempre più bravo e sempre più capace, perché questo è il tuo lavoro e quel ragazzo, come tanti come lui, sono la tua “materia”. E’ questa proposta di riforma della Fish che, a quanto si dice, il governo sta tenendo presente nell’esercitare quella delega che La buona scuola prevede, sotto forma di decreti attuativi, per mettere in pratica i principi teorici della legge.
E dalla sua parte ci sono studiosi del calibro di Dario Ianes, responsabile delle edizioni Erikson, che tempo fa a Redattore sociale aveva espresso un secco “no al ruolo blindato dell’insegnante di sostegno”, ribadendo quello che ritiene un “principio fondamentale: prima si diventa insegnanti e poi ci si specializza. Diversamente, c’è il fortissimo rischio che meccanismi di delega del tipo ‘pensaci tu che sei specializzato’ saranno ancora più probabili”. Una posizione, questa, vicina a quella espressa, solo pochi giorni prima, da Adriano Sofri su Repubblica, il quale paventava il rischio che gli insegnanti di sostegno fossero “condannati” a restar tali “a vita”, anche in caso di “ripensamento”. E ad essere per sempre “insegnanti di serie B”. E attirava a sé, così, le dure critiche di Gianluca Nicoeltti: “Occuparsi di un ragazzo come il mio non è una simpatica esperienza da provare per sentirsi migliori, non è come un corso di Tai Chi o qualche giorno di volontariato in periferia – aveva ribattuto – Soprattutto non deve occupare un insegnante a patto che riesca a suscitare idee e stimoli, salvo poi mollare tutto quando si accorge di non essere adatto a quel lavoro”.