Diventa un socio del CIIS
Entra a far parte della nostra associazione!
COMUNICATO C.I.I.S.
La classe è costituita da tutti gli alunni: è ambiente educante e formativo per eccellenza. È nella classe che si attua e si realizza l’integrazione scolastica, dove si inizia a costruire la società inclusiva, quella contemplata nella e dalla nostra Costituzione. La proposta di legge dei due senatori del PDL mira a frantumare questa realtà, creando un luogo in cui prima della persona e della sua dignità appare ciò che lo rende “diverso”, stigmatizzando il funzionamento individuale. La non-classe disegnata dai due senatori proporrebbe “alunni con …”, suddivisi per fasce o per gruppi: ciascuno con la sua caratteristica specifica. Ma non si limita ad annullare la dimensione sociale del gruppo-classe come identità impegnata nel percorso formativo, la nuova proposta va oltre, tentando di sottrarre agli insegnanti i compiti per i quali sono chiamati ad impegnare congiuntamente, per tutti gli alunni, la loro professionalità. E riappare, sempre più vicino, lo spettro delle classi differenziali come luogo di “raccolta” della diversità, separata secondo il criterio di “alunno con …”.
"Disegno di Legge n. S 2594", Disposizioni per favorire il sostegno di alunni con disabilità, depositato il 2 marzo 2011 dai senatori Bevilacqua e Gentile, attualmente in discussione presso la VII Commissione del Senato. Una strana proposta di legge, che lascia perplessi fin dalle prime righe. “Privatizzare il sostegno” è il grido di allarme che echeggia nel web da parte delle Associazioni delle famiglie delle persone con disabilità e di tanti professionisti che operano nel settore. Ma in cosa consiste questa proposta?Quale, in ultima analisi, il nocciolo della questione?
I due relatori parlamentari del Popolo della Libertà, Bevilacqua e Gentile, appellandosi alla normativa italiana in materia scolastica e partendo dall’assioma anticipato dalla L. 104/92, art. 12, comma 4, ossia che “L'esercizio del diritto all'educazione e all'istruzione non può essere impedito da difficoltà di apprendimento né da altre difficoltà derivanti dalle disabilità connesse all'handicap”, ingarbugliano le affermazioni successive, mescolando normativa, profili professionali e indicazioni pseudo-operative. Certamente quello che balza agli occhi, con chiarezza, è l’opportunità offerta al privato di poter entrare, finalmente e in misura sempre più massiccia, nel pubblico. A costo zero per il bilancio, afferma il comma 2 dell’unico articolo contenuto nella proposta di provvedimento.
La preoccupazione più volte “lanciata e gridata” dalle famiglie, così come dagli insegnanti, sulla “mancata continuità educativo-didattica” viene fatta propria da questo ddl esclusivamente sotto il profilo educativo. La formulazione della norma si àncora infatti alla sola componente educativa, lasciando intendere al lettore distratto che questa contenga anche quella legata alla sfera didattica, specificità propria della scuola, assolta unicamente dagli insegnanti.
Utilizzando poi quale paravento l’autonomia scolastica, la proposta tenta di scardinare le ultime resistenze, giocando ancora in controluce, lasciando intendere ma omettendo. In questo contrasto, entrano in scena Enti Locali e ASL, indicati come coloro che “debbono sostenere gli interventi scolastici”, auspicando che il coordinamento venga assunto dalle Istituzioni Scolastiche. Ed è qui che si mette in atto lo scacco finale. Vista la nuova opportunità offerta alle Istituzioni scolastiche, perché non pensare anche agli alunni con DSA? Perché non “creare” un’altra categoria (leggasi “opportunità per il privato”)? Ci si arrampica persino sugli specchi, tentando di evidenziare come i “progetti” realizzati con la collaborazione dei privati possano andare a rispondere ai bisogni formativi degli alunni con DSA. (Bisogni ai quali devono rispondere “tutti e ciascun” insegnante della classe. Per questo non è stata prevista una ulteriore figura a supporto della classe nel suo insieme!)
Ma i due co-firmatari, nel cercare di persuadere sulla bontà della loro proposta, declinano addirittura l’obiettivo perseguito con questo provvedimento, rintracciabile nell’ultimo capoverso della presentazione: “si propone una disposizione volta a favorire l’inserimento ottimale degli alunni diversamente abili, per migliorare la qualità dell’integrazione degli stessi e di tutti gli allievi con bisogni educativi speciali …”. (Vorremmo evidenziare “ottimale”, in forte contrasto con i criteri di “qualità” da sempre perseguiti dalla scuola pubblica italiana).
L’articolo 1
Il primo comma dell’articolo 1 del DDL autorizza i Dirigenti Scolastici ad avvalersi, per “il sostegno di alunni con disabilità”, della collaborazione dei privati mediante specifici progetti, facendo riferimento all’art. 5 del DPR 24 febbraio 1994 (articolo che riguarda la elaborazione del PEI al quale partecipano, per legge: gli insegnanti della classe, il docente psico-pedagogista, se presente, la famiglia e gli operatori dell’ASL).[1]
La proposta di legge apre, sostanzialmente, due fronti:
Essa, di fatto, racchiude più contraddizioni. Anzi, tende ad anticipare prospettive che, rispetto alla normativa fino ad oggi emanata, introducono una inversione di tendenza. Affermare, infatti, che la continuità (e solamente sul versante “educativo”) debba e possa essere affidata a non ben definite professionalità esterne, debitamente però riconosciute come appartenenti al settore privato, la dice lunga sulla integrazione degli alunni con disabilità nelle classi comuni.
Sostanzialmente e formalmente, la proposta di legge contraddice quanto segue:
Continuare ad insistere sulla continuità correlata unicamente a coloro che sono incaricati su posto di sostegno, equivale a coltivare nell’opinione pubblica (ma anche fra gli operatori scolastici e sanitari e fra le famiglie) l’idea che il docente per il sostegno sia “docente personale dell’alunno”. Ritenere che la continuità sia una questione limitata ad uno solo dei docenti della classe, significa annullare e negare contestualmente il processo di integrazione scolastica, un processo iniziato una quarantina d’anni fa (e che non ha nessuna voglia di andare in pensione e ancor meno di scomparire nell’oblio).
Le Linee Guida del MIUR
L’inclusione scolastica, come ha richiamato con forza il Ministro Gelmini nelle recenti Linee Guida per l’integrazione degli alunni con disabilità,[2]fa perno tanto sulla “corresponsabilità” di tutti gli insegnanti della classe, quanto sull’importanza dei ruoli che ciascuno è chiamato a svolgere secondo le rispettive competenze. Le Linee Guida ben specificano i ruoli di coloro che, sulla base del PEI, sono chiamati a formulare i rispettivi progetti personalizzati a favore dell’alunno con disabilità:
La dimensione inclusiva della scuola prevede, condicio sine qua non, la partecipazione attiva e fattiva delle componenti qui richiamate: non solo la loro assenza in termini di collaborazione e coordinamento, ventilata dalla proposta di legge, non è ipotizzabile, secondo il Ministro Gelmini essa costituirebbe “una concezione distorta dell’integrazione”.
Ed è di così pregnante rilievo questo aspetto, che il Ministro richiama più volte alla responsabilità inclusiva il Dirigente Scolastico, attribuendogli una serie di compiti inderogabili. Viene posto l’accento sul ruolo di ciascun componente la comunità scolastica, degli organi collegiali e degli organismi preposti, come il GLH di Istituto fino al GLH operativo, al quale partecipa, di diritto, la famiglia.
I due senatori cofirmatari del DDL riaffermano la necessità di una continuità educativa che attribuiscono ad un “progetto” che il Dirigente Scolastico può attivare con il privato. Ma chi sono queste figure che dovrebbero realizzare questo progetto “di continuità” a favore del processo di integrazione? Che compiti e che ruolo avrebbero?
Perché non solo le famiglie, ma anche gli insegnanti gradirebbero sapere con chi sono chiamati a confrontarsi o, eventualmente, a collaborare. E, soprattutto, dovrebbe essere esplicitato il profilo professionale di questi operatori. Quali competenze dovrebbero possedere? Quanti parteciperebbero al progetto per ciascuna classe?
Contemplando, come i due cofirmatari hanno ricordato, l’esercizio del diritto all’istruzione e all’educazione, il percorso scolastico prevede che agli alunni con disabilità venga assicurato un percorso di qualità sotto il profilo educativo e degli apprendimenti al tempo stesso. E, nella scuola, gli apprendimenti, così come gli aspetti educativi, attengono al compito e alla responsabilità degli insegnanti. Anzi, costituiscono il loro compito fondamentale: educare e istruire.
Non si può entrare nella scuola privi di formazione idonea.E, ancor più, non si può pensare che agli alunni con disabilità sia sufficiente assicurare solo il percorso educativo. Abbracciare questa prospettiva vuol dire negare la dimensione valoriale dei disabili, stigmatizzare la loro presenza e incrinare la loro dignità di persone.
Da tempo nella scuola si respira, con preoccupazione, un ritorno alle scuole speciali e alle classi differenziali per questi alunni. Molte, troppe cattive prassi si stanno affermando in molte, troppe scuole: prassi che le Linee Guida hanno stigmatizzato in modo secco e senza replica. Nessuna attività scolastica può essere riservata a gruppi di studenti composti da soli alunni con disabilità o da questi insieme ad altri scolasticamente più fragili: questa prassi è contraria alle norme di legge. E il Ministro, al riguardo, è così convinto di tale affermazione da ribadire che questa modalità operativa non è applicabile neppure per limitati periodi di tempo: proprio perché l’integrazione scolastica deve essere attuata all’interno delle classi, insieme ai compagni, sotto la responsabilità di ciascun docente della classe
E, se da un punto di vista della didattica, i punti precedenti rilevano la incompatibilità fra la proposta dei senatori Bevilacqua/Gentile e la prassi di una scuola inclusiva, a completamento si potrebbero porre rilievi anche sotto il profilo organizzativo.
A chi competerebbe la coordinazione del processo di integrazione? Già molti stanno creando grande confusione in merito ai compiti degli assistenti ad personam (figure assegnate all’alunno e non alla classe; figure che non hanno fra i loro compiti quello della didattica, ma solo compiti legati all’autonomia e alla comunicazione). Sono più di uno i casi in cui un assistente, presentandosi a scuola, si propone come il riferimento dell’integrazione e, talvolta, pretende di sostituire il docente anche sotto il profilo didattico. La presenza degli assistenti va ponderata e calibrata sulla base delle effettive necessità. Non sempre, infatti, questa figura è necessaria. E ancor meno lo si può pensare come il prolungamento del docente specializzato, proprio perché non ne ha le competenze né la professionalità. Gestire poi all’interno della classe più figure, può diventare problematico e complicare l’attività scolastica piuttosto che facilitarla. In sintesi, la proposta formulata dai due senatori del PDL tende a destabilizzare un sistema complesso e articolato, caratterizzato da criticità e potenzialità molteplici. Si avverte una sorta di sottrazione della dimensione formativa, a svantaggio degli alunni con disabilità e a esclusivo vantaggio del privato.
Leggiamo poi con perplessità il comunicato stampa diramato dall’AIPD. Non possiamo, infatti, condividere l’apertura offerta per gli alunni con DSA, concedendo quale contropartita una richiesta non solo strumentale, ma ostinatamente bloccata al solo docente per il sostegno. Se, infatti, è condivisibile la tesi dell’attribuzione ai docenti (di ruolo e precari) di un servizio “continuato” nella stessa classe per il periodo di durata del ciclo scolastico (ovviamente le assegnazioni dovrebbero partire dalle classi prime!!), è difficile vedere nel vincolo decennale una soluzione per la continuità. Si tratta di “assegnazione di incarico”, del quale è responsabile il Dirigente Scolastico. Si può anche transitare sul curricolo o su posto comune, e si tratta di professionalità a vantaggio di tutto il sistema scuola. Ma occorre ricordare che l’incarico, ad inizio di ogni anno scolastico, viene attribuito dal Dirigente Scolastico, il quale può optare come ritiene, ancor più se il docente è in possesso di competenze professionali per il sostegno.
Va infine aggiunto che è un falso mito, una leggenda metropolitana, ritenere che la continuità riguardi solo il docente di sostegno che, nella classe, resta solo per poche ore(4, 5, 6 9 …). Impariamo a guardare i veri aspetti della questione: la continuità, unitamente alla formazione, riguarda tutti gli insegnanti della classe. Pertanto, se veramente si ha a cuore l’integrazione scolastica, è su questo fronte che occorre agire. Altrimenti si fa demagogia. Oppure … oppure si prepara, in modo subdolo, la strada per “togliere dalle classi comuni gli alunni con disabilità”. Questo è il disegno sommerso che appare palese. Ed è contro questo disegno che bisogna lottare, diffondendo davvero la cultura dell’integrazione: quella cultura che riconosce l’alunno come alunno della classe, frequentante una classe in cui tutti i docenti siano in grado di rispondere ai suoi bisogni e dove il docente per il sostegno svolge il suo ruolo di insegnante, regista dell’inclusione.
REDAZIONE C.I.I.S.
Clicca sull'icona e scarica il file: DDL 2594
[1]DPR 24/2/1994, art. 5, comma 2: «Il P.E.I. è redatto, ai sensi del comma 5 del predetto art. 12 [della legge 104/92 ndr], congiuntamente dagli operatori sanitari individuati dalla USL e/o USSL e dal personale insegnante curriculare e di sostegno della scuola e, ove presente, con la partecipazione dell'insegnante operatore psico-pedagogico, in collaborazione con i genitori o gli esercenti la potestà parentale dell'alunno».
[2]Linee Guida per l’integrazione degli alunni con disabilità, 4 agosto 2009, MIUR (http://www.edscuola.it/archivio/norme/circolari/nota_4_agosto_09.htm)
Commenti
Condivido! Evelina
Condivido!